La mentalità secondo la quale un bambino deve stare il più possibile separato dalla propria madre di giorno, ma soprattutto di notte, s’inserisce nell’ottica della cosiddetta pedagogia a “zero contatto“. Il presupposto di tale pedagogia – non supportata che dalla cultura – è che il bambino che sta con mamma non diventi autonomo (infatti le mamme novantenni allattano ancora figli settantenni), assuma cattive abitudini – definiti vizi – (passare dalla poppa alla sigaretta è un vento), non impari a dormire da solo (infatti mia figlia diciottenne aspetta la favoletta della sera, per dormire) e diventi sadico comandante della madre (infatti in giro le mamme si riconoscono dal guinzaglio al collo).
In realtà basta un po’ d’intelligenza e di osservazione per capire che tutte queste idee si basino su un’oculata ideologia che è molto interessata a far tornare le madri a lavorare subito (tanto c’è il biberon) e a far educare i bambini da altre persone. Attenzione: non sto dicendo che la formula lattea sia male e gli asili nido siano pessimi, sto affermando una norma biologica incontrovertibile. 

Bambino legato alla mamma già durante la gravidanza


I bambini, a partire dall‘inizio della gravidanza (dicesi concepimento) si legano alla loro mamma. Continueranno ad aver bisogno fisicamente della sua presenza (il fatto che le mamme possiedano le poppe facilita molto la vita di tutta la famiglia) per almeno due anni, se non tre (infatti quand’è che un bambino è interessato spontaneamente a socializzare? Quando controlla gli sfinteri? Quando mangia da solo? Quando è in grado di interagire? Di solito tre anni). Se la cultura ha voluto separare la sessualità dalla procreazione, le donne dagli uomini, le madri dai figli, un motivo c’è. Ed è economico. Le donne madri producono poco. E la norma biologica che impone alla mamma di occuparsi del proprio bambino (la norma biologica non è delicata e petalosa, ma è chiara e definitiva) non fa girare l’economia. Facciamo un esempio pratico: Candace Bushnell, scrittrice di ” Sex and the city”, ha passato la sua vita a diffondere la cultura child-free. Oggi ha 60 anni e se ne pente molto. Ma il dado è tratto e le donne che le sono andate dietro, sono vecchie, hanno contratto pacchi di malattie sessuali, spesso sono sole e quasi certamente moriranno sole. 
Vorrei far presente che la norma biologica, inoltre, è molto chiara: le mamme che stanno coi loro bimbi per il tempo più importante della loro vita
(dal concepimento ai primi 3 anni di vita), saranno più propense a star dietro ai propri bambini. L’enorme fatica che le madri compiono quei primi tre anni (resa tale anche dal fatto che tantissime donne sono sole e le famiglie sono nucleari), è tutta da premiare e fa parte di quel periodo fondamentale durante il quale si tesse una relazione diadica prima (fin verso i primi 6/9 mesi il bimbo vuole mamma), triadica poi (i papà sono fondamentali) che porterà alla maturazione e crescita di un individuo adulto che dovrà, a propria volta, essere cittadino, lavoratore, genitore.
Sì perché la norma biologica si scontra molto con la cultura del desiderio di un figlio. I bambini continuano a essere concepiti grazie a ovociti e spermatozoi, a dover essere nutriti, allevati, educati, istruiti. Se l’adulto in questione lo desideri o meno, non è un problema della biologia. Madre Natura ha stabilito (e gli studi ce lo dimostrano) che la sessualità è legata all’affettività, che i bambini hanno bisogno di mamma e di una famiglia composta da madre e padre, che una famiglia unita è la normalità per crescere sani. Certo, le eccezioni ci sono, ma non è normalizzando l’eccezione che la norma biologica muterà. 
Torniamo alla pedagogia a basso contatto. Si iniziava con l’ospedale appena il bambino nasceva: lavato, vestito, messo in una cullina al nido. Poi a casa col pediatra che dice(va) alla mamma orari della poppata e tabelle di crescita impensabili. Poi le regole del sonno. Le regole del cibo (vogliamo parlare delle pappe a 3 mesi?). Poi la mamma – isterica per tutte queste boiate – agognava di nuovo di tornare al lavoro: anche picconare in cava sarebbe più rilassante dell’avere un neonato, con tutte queste direttive antiscientifiche. Menomale che ci sono gli asili nido, creati per mandare a lavorare le madri perché i padri (se ci sono) non guadagnano abbastanza! E così il nucleo familiare è composto da tre persone sole, due delle quali non intrecciano una relazione con la terza, perché non riescono a farlo.

La delega all’esperto che ti dice come fare per… E il ringraziamento va all’esistenza della scuola, delle attività pomeridiane eccetera. 
Ecco: quando si promuovono asili nido per consentire alle madri di fare più figli, è una boiata. Se la politica volesse far crescere il numero di figli per donna, dovrebbe consentire alle donne di fare anche le madri. E di farlo stando coi figli, non delegando. E di farlo presto, non dopo i trent’anni (una donna di vent’anni se dorme poco carbura lo stesso, a quaranta ha bisogno delle vitamine).

Pedagogia a basso contatto è da condannare


La pedagogia a basso contatto, tuttavia, ha generato altri mostri: il diritto al figlio ‘desiderato’ è uno di questi. Scoccia togliere tutto il romanticismo, ma i figli non li si mette al mondo perché li si desidera. Li si mette al mondo perché la norma biologica ha imposto che se vogliamo sopravvivere, a breve o a lunga scadenza, qualcuno si deve occupare di noi e della società (medici, avvocati, netturbini, operai: bisogna metterli al mondo). E li si mette al mondo perché l’istinto di accoppiarci (“essere coppia”) spinge due gameti a unirsi: lo fa piacevolmente, ma alla natura serve il risultato. Il fatto che la cultura abbia separato sessualità da procreazione non è colpa del bambino, ma nostra. È la cultura a basso contatto che impone alle donne di pensare che abortire sia andare alle terme. E infatti ogni questione con la quale si argomenta la cultura dell’aborto, non ha supporto nella norma biologica. È il prolungamento “all’indietro” della pedagogia a basso contatto: “Non sei legata a quel grumo di cellule”, “un embrione non è un bambino”. Cultura vs natura. Opinione Culturale verso Norma Biologica. E di solito la Norma Biologica batte la Cultura 100 a zero. 
Nulla di male. Ma affermare che non c’è un legame tra il bambino concepito e la madre, non è che affermare che il bambino coccolato si vizia. L’operatore sanitario che afferma che ci si può liberare di un bambino senza problemi, è il medesimo che afferma che ascoltarne il bisogno di contatto, fa male. L’operatore che dice che il bambino ha diritto a essere desiderato, è il medesimo che afferma che far piangere il neonato gli fa bene perché tempra il carattere (o “apre i polmoni”, o “lo fa diventare autonomo”). Il nesso, come afferma la mia amica Claudia, è che non è automatico: si assiste a una nevrosi nella quale chi afferma la pedagogia ad “alto contatto” (allattamento, sonno condiviso e molto altro) poi cancella l’esistenza di un legame madre-figlio e sposta l’attenzione sul diritto al “desiderio” del figlio. Il che è, per lo meno, strano.
Cerchiamo di fare ordine, per favore.
Restituite la maternità alle donne.

Di Rachele Sagramoso.

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