Spesso sentiamo dire che ogni donna è seduta su una miniera d’oro e nemmeno se ne accorge.
Far parte del gentil sesso, infatti, è una fortuna di non poco conto in quanto ci permette di guardare il mondo traverso la sensibilità di madre, donna e femmina.
Non che l’uomo sia da meno, s’intenda! Ma l’universo maschile è così composito e variegato che è difficile stanare L’UOMO per eccellenza; quello, cioè, in grado di soddisfare gli appetiti intellettivi e non, della propria donna.
Una delle categorie maschili più genuine è formata dagli archeologi.
Avere accanto un marito/compagno archeologo ha i suoi vantaggi.
Prima di tutto i suoi canoni di bellezza femminile vanno oltre i cliché, le mode del momento (soprattutto quelle che pretendono la donna, come un’icona di bellezza smagrita e quasi malata).
La bellezza, secondo l’archeologo, tende al modello di “La primavera” di Botticelli. Quanto più il corpo della donna è tornito, i suoi fianchi, flessuosi, tanto più ella risulterà attraente.
L’imperfezione dischiusa nelle grinze di “Afrodite Accovacciata” di Doidalsasso è una visione sublime, per il nostro archeologo.
Allo stesso modo le rughe, solchi naturali che prima o poi s’affacceranno sul sembiante, non costituiranno un problema ma un quid pluris dal momento che ci conferiranno quell’aspetto di vetustà che l’archeologo ritrova, continuamente, nei suoi scavi.
Per non parlare della mascolinità che trasuda attraverso le sue braccia ed il corpo forte ed avvezzo alla fatica e alla canicola.
E se la pancia trabocca dalla cintola, non sarà un problema! Questo è un chiaro sintomo del fatto che il nostro compagno archeologo è un buon gustaio: non disdegnerà, quindi, le nostre capacità culinarie; al contrario, gradirà un calice di vino per rinfrancarsi dopo le fatiche quotidiane.
L’archeologo vive di poco, avvezzo alla fatica, all’umiltà (riconciliato con l’humus, cioè la terra) ed avrà, perciò, un temperamento tendenzialmente accondiscendente.
Dunque mogli, compagne e fidanzate di archeologi: siete davvero fortunate!