Endometriosi. Ho sempre avuto un ciclo mestruale molto doloroso, fin da ragazzina, ma mi sentivo dire che ne facevo un dramma. A diciotto anni ho iniziato ad assumere la pillola e i dolori sono diminuiti un po’. Verso i trentasei anni, per svariati motivi, ne ho interrotto l’assunzione. Ed è iniziato il mio calvario. Ogni mese era sempre peggio e arrivavo a farmi fino a 5 iniezioni di Toradol al giorno per avere un po’ di tregua. Nel frattempo iniziò la stitichezza. Diventò un incubo. I medici non ne venivano a capo. Il dolore nell’evacuare, tramite lassativi, era così forte che a volte perdevo i sensi. Il giorno del mio quarantesimo compleanno, un ginecologo esperto ecografista mi visitò e mi disse:

Lei ha l’ endometriosi”. Endometriosi ?? E cos’è ? Mi spiegò che dall’ecografia vedeva una massa enorme diffusa ovunque e mi consigliò di contattare subito un centro specializzato nella cura di questa patologia. Mi consigliò di farlo in fretta. Intanto la malattia era peggiorata velocemente: entravo ed uscivo dal pronto soccorso, avevo un’emorragia da più di due mesi, febbre continua, trascinavo la gamba sinistra e il dolore quotidiano era insopportabile.

Endometriosi intervento

Presi appuntamento a Peschiera del Garda. La visita fu una mezza sentenza di morte: endometriosi quarto stadio, diffusa ovunque: intestino, utero, ovaie, legamenti, nervi sacrali, vescica. Il medico mi disse che avevo poco tempo, la malattia stava attaccando il rene sinistro. Ero smarrita, in lacrime. Ventisei giorni dopo, il 26 febbraio 2013, entravo in sala operatoria. Pesavo 42 chilogrammi. Sei ore di intervento: resezione intestinale, asportazione ampolla rettale, resezione vescica, asportazione parziale uretere sinistro, legamenti utero-sacrali, utero e vagina, pulizia ovaie, intervento ai nervi sacrali, raschiamento osso sacro. La malattia aveva avvolto anche quello. Rimasi in coma farmacologico per trentasei ore. Mi risvegliai con la stomia, la cosa più dura da accettare. La più grande lezione di vita che potessi mai ricevere.

Un anno e mezzo dopo mi è stato inserito un neuromodulatore nella schiena perché i miei nervi sacrali erano stati così danneggiati dalla malattia che non sentivo più nessuno stimolo per evacuare. Sono stata quattro mesi con un macchinario provvisorio attaccato esternamente al mio corpo. Dopo questo periodo di prova mi è stato impiantato il neuromodulatore definitivo, all’interno della schiena.

Endometriosi invalidità

Mi è stata riconosciuta un’invalidita’ dell’80% e lo stato di handicap.In tanti non hanno creduto alla gravità della mia malattia perché mi presento bene: sono una donna piacevole, curata, vestita bene, e questo, per qualcuno, significa che non posso stare male. Eppure il dolore fisico e morale che ho patito e che patisco è inimmaginabile.�Ho perso il lavoro. Sono stata licenziata con una scusa meschina ma il motivo è la malattia. Hanno sempre creduto che esagerassi, che fingessi. Quando ho chiesto il part time sono iniziate le cattiverie, i dispetti, le battutine ed infine il licenziamento.�L’endometriosi ti lascia senza fiato, sola, incompresa. Perché non si vede. Fuori sei bella, dentro hai l’inferno.

Sono passati cinque anni dal mio intervento e ho ancora i brividi ricordando quel giorno: la notte insonne all’ospedale, con mia sorella accanto, la barella che mi portava verso la sala operatoria, le lacrime del mio fidanzato che mi dava ancora un bacio prima di affidarmi ai dottori.

È difficile la comprensione di questa malattia da parte di chi non ne soffre perché è una malattia che non si vede. Quindi, se una cosa non si vede, semplicemente non c’è.

Noi malate di endometriosi ci abituiamo così tanto al dolore che questo diventa parte della nostra quotidianità, ci sembra normale. E non è un dolore sopportabile. Si dice che nella scala dei dolori quello dell’endometriosi in forma grave sia uno dei primi in classifica. Tutti i giorni. Tutto il giorno. Ta tan. Ta tan. Ta tan. Un dolore che ti rimbomba dentro. Che ti lascia senza fiato. Ta tan. Ta tan. Sempre. Ventiquattro ore su ventiquattro. Ta tan. Ta tan.

A questo si aggiunge l’incomprensione. La frase che più mi ha scioccata è stata: “Tu prendi questa malattia troppo sul serio”.

Non hanno capito che, a volte, il dolore più grande è quello urlato in silenzio.

Testimonianza di Vania Mento

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