casa-coniugale

 Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso in cui l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi. Nel caso in cui uno dei coniugi cambi la residenza o il domicilio, l’altro coniuge può chiedere, se il mutamento interferisce con le modalità dell’affidamento, la ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti adottati, ivi compresi quelli economici.

Separazione

Pertanto, ove il giudizio concerna l’affidamento dei minori (possa trattarsi di coppia coniugata o di fatto) il giudice, in sede di udienza presidenziale attraverso i provvedimenti temporanei ed urgenti e poi nella sentenza si pronunzierà in merito all’assegnazione dell’abitazione ove la famiglia ed il minore hanno vissuto fino all’instaurazione del giudizio.
Con tale provvedimento si tende a garantire al figlio minore (o maggiorenne non economicamente autosufficiente) la conservazione dell’habitat familiare in cui è cresciuto cercando di ridurre al minimo eventuali traumi derivanti dalla separazione dei genitori e consentendo al minore di continuare a frequentare agevolmente luoghi e persone a lui familiari.
Accade spesso che l’abitazione familiare non sia di proprietà di uno dei partner e che, il provvedimento di assegnazione vada, pertanto, a limitare l’estrinsecazione del diritto di proprietà e di abitazione del terzo proprietario del bene.

Il caso, tutt’altro che infrequente, in cui i genitori di uno dei partner concedono al proprio figlio ed al di lui coniuge l’uso di un’abitazione di loro proprietà, rappresenta, uno degli aspetti più problematici, non solo sotto il profilo giuridico, ma anche sotto quello umano e sociale, dei giudizi di separazione.
La percezione dell’ingiustizia subita rappresentata dalla privazione dell’uso di un bene che spesso con i sacrifici di una vita si è riusciti ad acquistare ingenera nei protagonisti sentimenti di odio e rancore che sfociano in lunghe e sanguinose battaglie giudiziarie che vedono coinvolti non solo i coniugi ed il minore ma anche i “terzi” proprietari del bene la cui restituzione della casa diviene, a volte, l’unica ragione di vita. Assistiamo, sempre più spesso, a giudizi ove la richiesta di collocamento dei figli minori è palesemente strumentale rispetto al reale obiettivo rappresentato, appunto, dall’assegnazione della casa coniugale alimentando così un contenzioso che, di fatto, sarebbe solo di natura economica se non fosse che per l’ottenimento di un beneficio di ordine economico si finisce per andare ad invadere il terreno delle relazioni affettive che rappresentano il mezzo per raggiungere il risultato economico sperato.

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E allora, le richieste di collocamento lungi dal diventare manifestazioni di affetto nei confronti dei figli rappresentano l’unico strumento per preservare il proprio patrimonio nell’estenuante ricerca di elementi che possano indurre il giudice a ritenere l’altro genitore “inadeguato al collocamento o all’affidamento”.
Ove la casa familiare venga concessa dai genitori al proprio figlio o al proprio figlio unitamente al partner sotto un profilo giuridico si configura un contratto di comodato e ciò, a prescindere, dall’esistenza di un contratto scritto.

In linea teorica, ove il comodato sia stato stipulato senza limiti di durata in favore di un nucleo familiare, si versa nell’ipotesi del comodato a tempo indeterminato, cioè c.d. precario. Quindi, a rigor di logica ai sensi dell’articolo 1810 del codice civile il comodatario sarebbe tenuto alla restituzione immediata del bene non appena il comodante lo richiede. In pratica, l’indeterminatezza che consentirebbe dal comodante di effettuare il recesso “ad nutum” si scontra con i limiti imposti dalla giurisprudenza che ha elaborato la figura del “comodato di scopo” rendendo tale comodato, di fatto, a tempo determinato o meglio un contratto la cui durata sarebbe individuabile e determinabile solo a posteriori.

Giurisprudenza

Sostiene la Giurisprudenza di legittimità che concedendo alla coppia un immobile in cui andare ad abitare i comodanti abbiano impresso un vincolo di destinazione sul bene che determina la non prevedibilità del momento in cui la destinazione del bene verrà a cessare: in pratica la concorde volontà delle parti avrebbe impresso un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari idoneo a conferire all’uso il carattere implicito della durata del rapporto anche oltre l’eventuale crisi coniugale.

Quindi, ove il comodato sia stato concesso affinché i comodatari adibiscano il bene a casa familiare, il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto dal contratto anche in caso di avvenuta separazione dei coniugi e, soprattutto, nei confronti dell’assegnatario.
In ogni caso, l’individuazione del vincolo di destinazione in favore delle esigenze abitative familiari non può essere desunta dalla mera natura immobiliare del bene concesso in godimento dal comodante, ma implica un accertamento in fatto, di competenza del giudice del merito, che postula una specifica verifica della comune intenzione delle parti, compiuta attraverso una valutazione globale dell’intero contesto nel quale il contratto si è perfezionato, della natura dei rapporti tra le medesime, degli interessi perseguiti e di ogni altro elemento che possa far luce sulla effettiva intenzione di dare e ricevere il bene allo specifico fine della sua destinazione a casa familiare, perché il comodato possa considerarsi non risolubile ad nutum.

E’ bene precisare che il provvedimento di assegnazione emesso nel giudizio di separazione o divorzio non modifica né la natura né il contenuto del titolo di godimento sull’immobile. Infatti, quando la casa familiare viene assegnata al coniuge affidatario dei figli, questi succede nella titolarità del rapporto di comodato, in applicazione analogica dell’art. 6 della L. 392/1978; pertanto, la successione nel rapporto si verifica solo in favore del coniuge al quale è stata assegnata la casa familiare, il quale si vede così attribuire un diritto personale di godimento.
Sulla scorta delle considerazioni sopra svolte e di quanto affermato dalla recente Giurisprudenza di legittimità (si veda ad esempio Cass. Civ. del 28 febbraio 2011, n. 4917), che impone la restituzione dell’immobile in caso di sopravvenienza di un urgente ed imprevedibile bisogno del comodante possiamo comprendere come la Giurisprudenza configuri il rapporto come un comodato a tempo determinato ai sensi dell’art. 1809, comma 2, c.c.; prevedendo che solo qualora sopravvenga uno stato di bisogno urgente ed imprevisto, quest’ultimo prevale comunque sul provvedimento con cui il giudice ha assegnato la casa familiare.
In effetti, sulla qualificazione giuridica del rapporto nascente dalla concessione in comodato di un immobile da adibire a casa familiare esistono, in giurisprudenza, due orientamenti solo apparentemente diversi: il primo, rinvenibile anche nella sentenza 28 febbraio 2011, n. 4917, che conclude per l’applicabilità della disciplina del comodato c.d. “ordinario” ex artt. 1803 e ss. c.c. attribuendo il diritto di chiedere la restituzione del bene solo nel caso di bisogno di cui all’art. 1809, comma 2, c.c.; il secondo, in linea con la sentenza n. 15986/2010 e con l’ordinanza n. 23567/2013 che, qualifica il rapporto tra il proprietario del bene immobile ed i coniugi come comodato c.d. “precario”, di cui all’art. 1810 c.c., tanto da permettere al primo di chiedere la restituzione ad nutum del bene, indipendentemente da qualunque stato di bisogno sopravvenuto. Ma, anche gli orientamenti che riconoscono la natura precaria del comodato ammettono che possa trovare applicazione la disciplina del comodato a tempo determinato qualora le parti dimostrino l’esistenza del vincolo di destinazione e del comodato di scopo.
Avv. Matteo Santini (Direttore Scientifico Centro Nazionale Studi e Ricerche sul Diritto della Famiglia e dei Minori)

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