Ancora una disavventura per un  protagonista di ‘Uomini e Donne’, Pasquale Commentale,  ex corteggiatore di Susan Elemi e grande amico del tronista Marco Meloni.

Il trentenne  è stato arrestato insieme ad altri due imprenditori con cui portava avanti la ditta della quale era a capo,  per aver organizzato un “sistema illecito che si avvaleva della manodopera di extracomunitari, per lo più provenienti dalla comunità asiatica presente in città, sottopagata e costretta a condizioni di lavoro deteriori rispetto a quelle previste dalla contrattazione di settore”.  Non una voce di corridoio, visto che la notizia è stata riportata dalla giornalista Laura Borsani sul quotidiano ‘Il Piccolo’ dal quale riportiamo direttamente l’articolo

La Procura mette le mani sul “marcio” dell’appalto Fincantieri. Decapitata una ditta, in realtà una vera e propria organizzazione, che costringeva i suoi dipendenti, tutti del Bangladesh, a lavorare sotto l’incubo di minacce, intimidazioni e perfino estorsioni, con

documentazioni false, contribuzioni inesistenti, paghe da fame. Operai truffati. Anche lo Stato. Un’illegalità riscontrata per ora in un’impresa ma che prospetta altri sviluppi, profilando un fenomeno ben più ampio nel settore dell’indotto. Il primo atto della Procura ha portato all’arresto di tre persone: l’imprenditore originario di Castellammare Pasquale Commentale, 30 anni,
amministratore della ditta e già star della tv, il fratello Giuseppe, 33, e un’operaio bengalese di 46 anni. I Commentale avevano messo in piedi una vera e propria associazione a delinquere. Reati gravi, compresa la violazione della normativa sul lavoro (legge Biagi), attraverso l’assunzione fittizia, previo pagamento in denaro. La realtà venuta alla luce parla di imprese che nascevano emorivano in successione nel tempo e che, pur sotto denominazioni diverse, erano riconducibili alla stessa compagine societaria. I due imprenditori e il bengalese sono stati arrestati a Monfalcone, San Canzian d’Isonzo e Trieste, ritenuti responsabili di un sistema illecito che si avvaleva della manodopera di extracomunitari, per lo più provenienti dalla comunità asiatica presente in città,
sottopagata e costretta a condizioni di lavoro deteriori rispetto a quelle previste dalla contrattazione di settore. Uno dei due imprenditori, assieme all’operaio bengalese, è detenuto nel carcere di Gorizia, l’altro campano è stato sottoposto agli arresti domiciliari. Sono state, inoltre, denunciate sei persone, cinque italiani e un bengalese che avevano partecipato, in circostanze e ruoli diversi, alla commissione dei reati contestati. Ciò che è venuto a galla è un’organizzazione dedita all’estorsione e alle minacce nei confronti dei dipendenti, una quarantina variabili nel tempo. Condizioni estreme e al di fuori delle regole: per i dipendenti era perfino un “lusso” fare la doccia, possibile solo pagando 30 euro. Bengalesi tenuti in scacco dalla paura di venire licenziati. Una comunità, quella asiatica in particolare, «aggredibile, facile preda di atteggiamenti intimidatori». Ma un fenomeno, dunque, che non sembra isolato: la Procura ritiene che il “modus operandi” sistematico e consolidato, fatto di metodiche raffinate e ricorrenti, possa essere più esteso nel settore dell’appalto. Il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Gorizia, Caterina Ajello, ieri mattina durante
l’apposita conferenza stampa, ha spiegato: «Contiamo di andare avanti con l’indagine. Verosimilmente si tratta di un fenomeno esteso, che si propaga anche al di là della società in questione».

La Ajello ha poi precisato: non c’è alcuna responsabilità da parte di Fincantieri. Il sistema di controllo non può interferire sull’organizzazione interna delle imprese d’appalto. Tutto, pertanto, è circoscritto nell’ambito del rapporto tra ditta e dipendenti. L’indagine è partita a febbraio, anche se non sono mancati segnali pregressi. L’inchiesta coordinata dal sostituto procuratore Michele Martorelli, è stata condotta con «grande professionalità» dal Nucleo investigativo del Comando provinciale dei carabinieri di Gorizia, assieme al Nucleo operativo della Compagnia dei carabinieri di Monfalcone e al Nucleo dei carabinieri presso l’Ispettorato del Lavoro goriziano. Tutto è partito da una discovery info investigativa, incentrata sulla comunità bengalese residente a Monfalcone. «Sono state acquisite fondate indicazioni – ha osservato la Ajello -, comprovate dalle numerose deposizioni testimoniali e denunce-querele, che indicavano l’esistenza sul territorio monfalconese di un’articolata organizzazione a delinquere non autoctona, composta da cittadini di nazionalità italiana e bengalese, che ricorreva diffusamente all’intimidazione nei confronti delle vittime».

Determinante è stato l’apporto collaborativo della Bimas (Bangladesh Immigrants Association) di Monfalcone, che ha convinto i lavoratori in difficoltà a formalizzare le denunce. Alla fine, sono almeno una cinquantina le denunce pervenute dalla comunità asiatica, alcune anche approdate alla Direzione dell’Ispettorato del Lavoro.

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